Fabrizio Donato, tre salti nel tempo

10 Giugno 2017

Il quasi 41enne triplista azzurro con 17,32 è arrivato a soli 28 centimetri dal suo record italiano, stabilito 17 anni fa, quando mancano due mesi ai Mondiali di Londra dove ha vinto il bronzo olimpico nel 2012

di Giorgio Cimbrico

Al tempo di quel vecchio impero che sugli atlanti era colorato in rosa, gli autori di gesta memorabili venivano insigniti di titoli che ricordavano i luoghi delle loro imprese: Wellington di Waterloo (e di molti altri posti ancora, a dire il vero), Gordon di Khartoum, Allenby di Gerusalemme, Montgomery di El Alamein. Dopo aver ottenuto la patente di duca di Londra, marchese di Helsinki, visconte di Torino, barone di Belgrado e di Parigi, cavaliere di Cheboksary, Fabrizio Donato merita ora anche un feudo dalle parti di Lione.

Di lui hanno detto e si sono divertiti a etichettare: infinito, eterno, Donatosaurus Rex, il Grande Vecchio, il Matusalemme dell’hop step and jump, Canguro vecchio fa buon salto, un-due-tre e Fabrizio sempre c’è e altre amenità del genere. Di sicuro, di solido c’è che a 40 anni compiuti - a dire il vero quando i 41 sono lontani soltanto due mesi - il nostro uomo, oltre a metter le mani sul record mondiale master, è in grado di esibire un livello di “accorciamento” delle misure che desta ammirazione.

Fabrizio saltava 17,60 nel giugno del 2000, Fabrizio salta 17,32 nel giugno del 2017: 28 centimetri in 17 anni, o diciotto stagioni, danno una media di decremento di poco più di un centimetro e mezzo, 1,6 ad esser pignoli. Se l’ispido e spigoloso giovanotto (parliamo dell’aspetto, non del carattere che non è né ispido né spigoloso) continuerà a marciare così, è possibile ipotizzare che tra dieci anni avrà perso altri sedici centimetri: 17,16.

La sorpresa è che questi ammirati e affettuosi calcoli siano graditi a Fabrizio che pratica ormai un gioco senza frontiere, che non ha mai parlato di ritiro, che continua a non parlarne, che non vede l’ora di tornare su quella pedana dell’East End londinese che cinque anni fa gli fece pareggiare il raccolto olimpico di Beppe Gentile annata ’68. Domanda: ma se Gentile interpretò Giasone, quale ruolo potrebbe toccare a Fabrizio? Teseo sarebbe perfetto: l’eroe sbrogliò le insidie del labirinto di Cnosso, Fabrizio ha sbrogliato le insidie del labirinto del tempo.

E lui va avanti, continua ad andare avanti, con la sua magnifica testa di agonista, con la sua aura di indistruttibile, di cyborg molto umano, di invitto anche quando ha dovuto digerire la sconfitta. Il tempo passa e Fabrizio, che ha abbondantemente tagliato il traguardo dei vent’anni alle Fiamme Gialle, è sempre qui, una rocca di Gibilterra, con la sua barba dura e ispida, con quella figura che pare sbozzata nel legno, con quello sguardo deciso, con quel rimbalzare che sembra ritmare un’esistenza intera: un rimbalzo, un passo, un salto per valicare il fiume della vita. Non era nato per superare ruscelli irlandesi questo strano giochetto? Lui ne ha superati a centinaia.

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