Dordoni, una marcia sempre in salita

07 Aprile 2020

LÒRIGA STORY - Nel racconto degli olimpionici azzurri, la carriera del marciatore oro nella 50 chilometri a Helsinki 1952: dai successi giovanili alla svolta in una 100 km

I miei ricordi - Avendo conosciuto personalmente gli olimpionici dell'atletica italiana ve li ricordo, con particolari talora inediti delle loro carriere. Vanni Lòriga

Con uno solo degli olimpionici dell’atletica italiana ebbi la ventura di gareggiare: la foto che viene proposta risale all’8 maggio del 1949 ed eterna la coppia Gianni Corsaro-Vanni Loriga seguita dal gruppo condotto da Pino Dordoni, maglia bianca con la “V” della Virtus Bologna. Quel 1949 fu l’anno della svolta per Giuseppe Dordoni che aveva 23 anni, pochi mesi in più di chi scrive queste righe. Spiego con calma il suo cammino verso la gloria olimpica, dividendo in due sezioni la sua carriera di atleta, la fase prima di quel fatidico 1949 e quella ad esso successiva.

Un uomo solo al comando
Il racconto della prima è tratto in buona parte dalla sua autobiografia pubblicata sull’Annuario 1997/98 del Marcia Club Centro Lazio curato da Piergiorgio Andreotti. Il quale Piergiorgio (unico autorizzato a chiamare “Zio” quel Giulio che era fratello di suo padre Francesco) è autore insieme ad Augusto Frasca del prezioso e documentatissimo “Un uomo solo al comando”.

In venti anni 332 gare e 237 vittorie
Giuseppe Dordoni a 15 anni viene avvicinato durante le ore di educazione fisica dagli allenatori di marcia Guido Rizzi e Mario Verri. Incomincia così la carriera di marciatore di Pino che dopo pochi allenamenti è subito il migliore del piacentino. Partecipa a Modena al Trofeo Popolare indetto dalla Gazzetta ed a sorpresa il debuttante vince: 8 marzo 1942, dieci chilometri in 54:04. Da allora sino al termine della carriera disputa (dati ufficiali) 332 gare con 237 vittorie.

Siamo negli anni terribili della guerra e l’Italia divisa diventa terra di tragedia. Pino Dordoni riceve la cartolina di precetto e presta servizio nella Repubblica Sociale dove risiede. Non gli verrà perdonato mai.

Il pianto dopo la Coppa Germini
Nel 1945 - scrive Pino - “niente gare perché avevo militato dalla parte sbagliata”. Pagherà caro anche e soprattutto, come accennato e come vedremo, nel 1949. Gli fanno rifare il servizio militare (il primo non valeva...) ma intanto va forte e nel 1948 insieme a Gianni Corsaro stacca il visto per i Giochi di Londra. Gianni e Pino, una coppia sempre in lizza e che vidi gareggiare nel 1947 nella Coppa Germini, 16 chilometri sulle strade di Roma con partenza in Prati ed arrivo in Piazza Sant’Apostoli.

Corsaro primo e Dordoni secondo, che dopo aver tagliato il traguardo scoppia in lacrime: secondo la cronaca del Corriere dello Sport il fresco campione d’Italia rimprovera troppa indulgenza dei giudici per il vincitore.

Altro che marcia, una serie di salti tripli!


Anche ai Giochi di Londra, nella gara sui 10 chilometri, il Catanese precede il Piacentino. Rispettivamente ottavo e nono. Per conoscere i tempi esatti, non riportati nel Rapporto Ufficiale, ci volle la tenacia del sempre citato Piergiorgio Andreotti che li ebbe in Svezia dal marciatore Alan Scott, detentore di una copia in carta velina dell’ordine di arrivo ufficiale: Corsaro 48:12.0 e Dordoni 48:19.2. A quanto si dice il documento apparteneva a John Mikaelsson e Ingemar Johansson, due svedesi che a Londra si erano assicurati l’oro e l’argento. “Ma non marciavano - ci disse Paolo Valenti anche lui dedito alla marcia - la loro era una serie di salti tripli!”.

E finalmente siamo arrivati al 1949, l’anno che abbiamo ricordato in apertura. E passiamo la parola ancora a Pino Dordoni.

Assunzione temporaneamente sospesa
Per campare faceva tutti i lavori, da imbianchino a muratore, a sterratore, e si allenava a tarda sera. “Nel 1949 avevo collezionato 39 vittorie ed una sola sconfitta. Da tempo avevo inoltrato domanda ad un istituto di credito e quando meno me l’aspettavo mi arrivò una lettera di assunzione. Non dico la gioia, avevo finalmente sistemato la mia situazione economica”. Ma un paio di giorni prima di entrare in servizio arrivò un’altra lettera che annunciava come l’assunzione fosse temporaneamente sospesa. Ma dell’assunzione non se ne parlò più e soltanto dopo molti anni Dordoni venne a sapere che ancora una volta “aveva combattuto dalla parte sbagliata”.

100.000 per cento chilometri
Per non morire letteralmente di fame decise di emigrare in Venezuela. Non fu necessario grazie alla gara dei 100 chilometri di marcia. Il suo allenatore Guido Rizzi gli suggerì di partecipare alla classica prova organizzata dalla Gazzetta e che assegnava al vincitore un premio di 100.000 lire. Si allena per un paio di mesi e quando si presenta alla partenza che avviene a Gallarate i “califfi” della specialità gli sconsigliano la partecipazione. Una decina di ore dopo, non appena avrà tagliato il traguardo da vincitore, affermeranno in coro che erano certi del suo successo. Chi voglia sapere tutto di quella gara potrà leggere il libro di Carlo Monti dedicato al centenario (1909-2009) della super-gara. Non desti meraviglia il fatto che colui che fu per anni l’uomo più veloce d’Italia si dedicasse alla gara di più lunga durata: sua anche la storia della marcia italiana. Gli estremi molto spesso si toccano.

In quella vittoriosa camminata del 1949 Pino Dordoni ebbe come avversario più impegnativo il muratore francese Claude Hubert (negli anni successivi tre vittorie consecutive) e distanziò di oltre un’ora lo svizzero Armando Libotte, bravo come marciatore e bravissimo come giornalista. Di Pino Dordoni ebbe a scrivere che “era considerato come lo stilista più puro di tutti tempi”. E sicuramente mai nessuno ha eguagliato la sua eleganza, esaltata e forse consentita dalla eccezionale forza elastica delle caviglie.

La sua seconda vita nella 50 km


Superata la boa del 1949 abbiamo un altro Pino Dordoni. Quello che non teme le distanze e che su consiglio di Ugo Frigerio punta tutto sulla 50 chilometri: nel 1950 vince il titolo europeo a Bruxelles e nel 1952 sbaraglia il campo nei Giochi Olimpici di Helsinki. Nello stesso anno vince il Trofeo Pavesi, gara di propaganda del Corriere dello Sport, un giovine Abdon Pamich. Sarà il suo erede oltre che avversario nella fase ultima della sua carriera che si conclude esattamente il 19 novembre 1961 allo Stadio Olimpico di Roma: 24 chilometri nella gara in cui Pamich migliora il record mondiale dei 50 chilometri. Chiudiamo questi ricordi proprio con le parole che Pino scrisse nella citata biografia. “Al ritorno in Italia dopo l’oro olimpico fummo ricevuti al Quirinale da Luigi Einaudi, presidente della Repubblica. In quella occasione conobbi il giovine sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giulio Andreotti, che mi chiese se avessi trovato lavoro. Gli dissi di no e lui mi aiutò a entrare nella Snam. Nel 1962, ritiratomi dall’agonismo, mi venne affidato il settore marcia della FIDAL e venni nominato Consigliere nel Comitato della IAAF”.

Una lunga, dura, non sempre facile carriera. Ma lottando contro tutto e spesso contro tutti (non aveva, e non poteva averlo, un carattere facile) tagliò vittorioso anche il traguardo della vita. E non posso chiudere questo lungo (ma non abbastanza...) racconto senza ricordare che gli sono state sempre vicine la moglie Graziella e la figlia Isabella. Un uomo diventa più forte se ha vicino le donne giuste.

PINO DORDONI
Nato a Piacenza il 28 giugno 1926 e scomparso a Piacenza il 24 ottobre 1998
Presenze in Nazionale: 18
Campione olimpico dei 50 km di marcia a Helsinki 1952
La scheda su fidal.it

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Dordoni sul podio olimpico a Helsinki 1952


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