Donato: "A Mosca non come comparsa, anzi..."



Una giornata come quella di ieri ad Ancona, Fabrizio Donato l’attendeva da tanto tempo, forse da sei anni, da quando saltò a 17,60 proiettandosi fra i grandi del salto triplo contemporaneo, ritagliandosi uno spazio fra i favoriti per le Olimpiadi di Sydney. Poi le cose andarono male in Australia e fra alti e bassi la carriera del campione laziale non è più decollata, avendo anzi più momenti bui. E’ proprio da uno di questi, la mancata convocazione per i Mondiali di Helsinki, che l’ennesima rinascita di Fabrizio Donato ha avuto inizio: “Era il 17 luglio quando mi sono fermato, sono stato un mese lontano dalle pedane, non aveva più senso andare avanti dopo che il sogno di andare ai Mondiali era svanito. Mi sono fermato, ho ricaricato le batterie e il 17 agosto mi sono ripresentato al campo di allenamento. Mentre gli altri gareggiavano io mi sono messo a lavorare duramente, senza mai fermarmi. Ora arrivano i primi risultati”. - Questo record italiano a 17,33 se lo aspettava? - Mentirei se dicessi di no… Già due settimane fa avevo avuto ottime sensazioni, quando nella gara del rientro stagionale sono andato subito oltre i 17 metri. Esordire così è il sogno di ogni triplista, eppure quel giorno sono andato via dalla gara con l’amaro in bocca perché sentivo di poter volare molto lontano. La gara di ieri è stata in tal senso esemplare: dopo il 17,24 al secondo salto non ero assolutamente appagato, ho continuato perché volevo di più. Dopo il 17,33 ero logicamente scarico, così ho evitato gli ultimi due salti, era inutile insistere. - Quello del record è stato un salto ai limiti della perfezione? - Assolutamente no, anzi quello del 17,24 era stato tecnicamente migliore. Lì avevo avuto una parabola un po’ troppo alta, in quello del record ho avuto la sensazione che il salto mi scappasse un po’ via, tanto è vero che quando mi sono rialzato ero convinto che il salto fosse andato male e ho avuto anche un gesto di stizza. Poi il tabellone mi ha smentito. Direi che l’optimum sarebbe stato una media tecnica fra i due salti. - Questo significa che c’è ancora margine di crescita… - Ne sono convinto. Se penso che fino a tre settimane fa facevo ancora due sedute di allenamento ogni giorno, ero in piena fase di carico, e che da allora gareggiando e riducendo le sedute a una quotidiana la mia condizione è cresciuta ogni giorno, non posso che essere ottimista, anche pensando che il picco solitamente si tiene per 30-45 giorni. Di benzina nel serbatoio ce n’è ancora tanta… - Preferisce gareggiare all’aperto o al chiuso? - Sono sensazioni diverse: quando gareggi all’aperto vieni da una preparazione lunga e al caldo, inoltre la condizione atmosferica in gara può aiutare. A me però le gare indoor sono sempre piaciute perché il pubblico è più vicino, il suo sostegno aiuta. La pedana di Ancona poi è molto buona, elastica e un po’ duretta come piace a me, già lo scorso anno mi dava voglia di gareggiare. - Torniamo indietro nel tempo, al 17,60 all’aperto. Rispetto ad allora quanto è cambiato il saltatore Fabrizio Donato? - Fisicamente non molto, il mio peso corporeo è rimasto a 81 kg. L’unica differenza è che sono un po’ più tirato perché mi sono allenato tanto. Ora conta solo poter lavorare tranquillamente, senza stress, consapevole del mio valore. - Cosa rappresenta avere la seconda misura mondiale? - Beh, nel 2000 per lungo tempo sono stato anche al numero uno… E’ comunque una bella responsabilità sapere che c’è solo un uomo al mondo (il rumeno Oprea, ndr) che attualmente salta più di me, mi dà la carica per andare avanti. Ad inizio stagione il mio obiettivo era unicamente andare oltre i 17 metri, ora voglio continuare a questo livello: mi aspettano i tricolori di Ancona del 18-19 febbraio e poi direttamente ai Mondiali di Mosca, magari passando per un ulteriore test agonistico da valutare con il mio allenatore Pericoli. Voglio andare in Russia conscio di poter giocare carte importanti, andare solo per puntare alla finale non mi va… Gabriele Gentili Nella foto: Fabrizio Donato (archivio Fidal)

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