Cross in Sardegna: la saga di Alà

01 Dicembre 2016

Gli Europei di corsa campestre, domenica 11 dicembre a Chia, approdano sull’isola che ha accolto tanti big dell’atletica internazionale nelle 36 edizioni del cross ad Alà dei Sardi

di Giorgio Cimbrico

Corsa campestre pronunciato alla sarda significa prima di tutto ricordare le sette maglie tricolori, in una collezione imponente, conquistate dal piccolo e coraggioso Antonio Ambu, che a maggio ha tagliato il traguardo degli 80 anni, ma non ha fatto in tempo a includere nel ricco albo d’oro personale il cross più prestigioso nato nell’isola delle sue radici, il Trofeo di Alà dei Sardi, la creatura di Antonello Baltolu che ha tenuto la scena per 36 anni per chiudere i battenti nel 2012. Alà sembrava fatta apposta per ospitare una gara all’interno di un perfetto scenario naturale: un altopiano intorno a 600 metri dl altezza, nella regione storica del Monteacuto, ai confini con la Gallura e il Nuorese, una distesa di querce da sughero e di bassi roveri, un ricco sottobosco che profuma di mirto, il cibo preferito degli uccelli di passo che un tempo, a milioni, eleggevano quei territori a tappa nelle loro migrazioni.

Il cross nacque a livello regionale (Vincenzo Chessa e Caterina Corrò aprono l’albo dei vincitori), diventò in un baleno appuntamento di spessore nazionale (due successi di Luigi Zarcone e uno, poteva mancare?, dell’azzurro innamorato cotto della campestre, Franco Fava) per puntare direttamente su cast europei e mondiali. Reduce dal secondo posto al Mondiale di Limerick, quello del trionfo bis del gracile e durissimo irlandese John Treacy, Bronislaw Malinowski conquistò l’edizione del ’79 (tra le ragazze la spuntò Gabriella Dorio) imboccando l’ultimo tratto di vita che gli venne concesso dal destino: poco più di un anno dopo, a Mosca diventò campione olimpico delle siepi (era già stato argento a Montreal) e nel settembre dell’81, trentenne, perse la vita in un incidente stradale, anticipando la tragedia che coinvolse altri due olimpionici polacchi, l’astista Tadeusz Slusarski e il pesista Wladyslaw Komar, periti l’uno a fianco dell’altro in un viaggio senza ritorno.

Gli anni Ottanta e gli inizi dei Novanta diedero ancora respiro agli specialisti europei (Leon Schots, il polacco-molisano Boguslaw Maminski, Venanzio Ortis, Cristina Tomasini, Angela Tooby, Yvonne Murray, sino a Francesco Panetta e a Rosanna Munerotto, ultimi azzurri a fare bottino pieno) prima che Alà divenne terreno per gli uomini e le donne degli altopiani e, di pari passo, per chi ha saputo lasciare profondi segni nella cronologia del record mondiale dei 10.000, proprio la distanza della corsa isolana. Il messicano Arturo Barrios, il marocchino Salah Hissou, il keniano, re dei prati, Paul Tergat e l’etiope Kenenisa Bekele sono i quattro primatisti sui 25 giri che hanno messo le mani su sei edizioni. Nel 2004, a succedere all’erede di Haile Gebrselassie fu un giovanissimo keniano reduce dalla sorpresa che aveva saputo destare a Parigi qualche mese prima, piegando Hicham El Guerrouj e Bekele in un furioso finale dei 5000 che assegnavano il titolo mondiale: Eliud Kipchoge, oggi campione olimpico e re incontrastato della maratona. A chiudere questa lunga epopea che aveva la sua data all’inizio della primavera, i nomi dell’etiope Imane Merga e della keniana Sylvia Kibet. Ora sta per toccare a Chia: dalla Sardegna dell’interno i sentieri del cross portano a quella affacciata sul mare.

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