Coppa Europa: Fiona May stella azzurra

20 Giugno 2014

La lunghista, due ori mondiali e due argenti olimpici in carriera, ha vestito la maglia dell'Italia in Coppa Europa in 10 occasioni con 4 vittorie

di Giorgio Cimbrico

La nostra Signora Europa viene da Slough, Berkshire, da vent’anni abbondanti è stanziata a Firenze e ha due figlie che portano nomi degni di principesse del tempo degli zar, Larissa e Anastasia: vecchi e appassionanti testa a testa con donne venute dal freddo hanno lasciato segni e rivoli d’amicizia. Per stima e per movimentare le narrazioni, su Fiona May abbiamo finito per appiccicare l’etichetta “Azzurra Aida” che per il suo nuovo paese, tanto per citare il librettista di Verdi Antonio Ghislanzoni , ha molto “pugnato e vinto”.

In Coppa Europa le presenze e i risultati di Fiona sono una non piccola biblioteca di Babele e iniziano con un volumetto in lingua inglese (tre volte terza tra l’89 e il ’93), per dilatarsi in una collezione di gran pregio che spedisce lei, lunghista, sul punto più alto: delle otto vittorie raccolte dalle nostre ragazze nella eurocompetizione a squadre, quattro sono feudo suo. Merita ovviamente che vengano ricordate anche le altre, in stretto ordine alfabetico: Roberta Brunet, Antonietta Di Martino, Libania Grenot, Maria Guida.

Singolare e sorprendente non trovare Sara Simeoni che apparteneva a una generazione in cui la Coppa aveva scadenze più larghe e che ebbe la chance di disputare solo due finali A: seconda a Torino ’79, dietro Rosemarie Ackermann, e quinta a Mosca ’85 che non le sorrise come cinque anni prima.

Limitandoci ai suoi anni italiani, iniziati con il bronzo europeo di Helsinki ’94, Fiona ha nove piazzamenti sul podio (più due in First League, la vecchia serie B) e, evento unico negli annali d’Italia, da affiancare all’accoppiata 5000-1000 di Alberto Cova nell’85, la doppietta che consumò nel ’98 a San Pietroburgo a ritmo di record italiano sia nel lungo che nel triplo: il 7,08 era il suo sesto limite, il 14,65 il terzo e ultimo prima che lo scettro passasse nelle mani di un altro eccellente acquisto, Magdelin Martinez. L’anno precedente, a Monaco di Baviera, i punti di Fiona erano serviti a portare l’Italia a un quinto posto che si sarebbe trasformato in quarto per successive sanzioni doping, e nel ’99, a Parigi-Charlety il quarto asso pescato sulla pedana del lungo e il terzo posto nel triplo (con un 14,55 che oggi la proietterebbe molto in alto) furono utili per assicurare la quinta piazza finale della squadra. Stagioni piuttosto rigogliose.

L’ultima parte del XX secolo e gli esordi del XXI coincisero con i suoi picchi (chi è, se non Fiona May, l’azzurra più presente sul podio dei Mondiali, con quattro salite?) ma anche dopo le sue pagine più belle e più amare (l’oro olimpico strappato dalla nigeriana Chioma Ayunwa non le è mai andato giù, così come quell’ultima salto dell’ispano-cubana Niurka Montalvo) non ha smesso di dare una mano in quello scontro tra nazioni che sa esaltare l’agonista di razza e che fa ribollire il sangue a chi è cresciuta nella terra dove lottare e non arrendersi è la norma.

Per chiudere con una piccola raffica di eloquenti numeri: una doppietta, quattro vittorie, due secondi posti, tre terzi, tre record italiani (oltre ai due citati, anche il 6,96 del ’95), un successo e un terzo posto in First League, tre terzi posti per la Gran Bretagna prima di cambiar vita e colori da portare addosso. Fosse rimasta inglese, l’avrebbero nominata Dame.

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