Ciotti, l'appuntamento col record è rimandato



In un pomeriggio napoletano fatto di tanti atleti di valore e di prestazioni importanti in chiave italiana, Nicola Ciotti ha trovato il suo spazio, ha catturato l’attenzione del pubblico e delle telecamere e ha dato nuova linfa al settore del salto in alto, in questo momento quello che più trasmette entusiasmo e promette un roseo futuro. A Napoli Ciotti ha valicato l’asticella posta a 2,30, cosa che già due volte aveva fatto, ma in questa stagione ha un valore particolare, è pur sempre il minimo olimpico, ma non si è fermato a questo, e con Talotti ha dato la caccia al record italiano di 2,34, dando per due volte l’impressione di potercela fare: “A bocce ferme, dico che ho sbagliato a chiedere i 2,34, dovevo accontentarmi di 2,32. Ma sono pienamente sicuro che se tecnicamente salto bene quella misura è alla mia portata, ora che c’è la condizione fisica e ho la convinzione dei miei mezzi”. - Da cosa nasce tutto questo fermento nel vostro settore? - Innanzitutto la concorrenza interna: essere allo stesso livello, dover ottenere sempre il massimo per guadagnarci il posto in nazionale, non essere mai tranquilli e non poterci adagiare è il nostro segreto. Il tutto però calato in un ambiente sereno, nel quale i nostri allenatori sono in contatto fra loro, nel quale ognuno fa il tifo per l’altro com’è successo a me e Talotti a Napoli durante i tentativi di record. Siamo usciti da un certo provincialismo che ci ha tenuti fermi per molto tempo, con ognuno che difendeva strenuamente i propri segretini magari inutili e rifiutava i confronti con l’estero, anche solo verbali. - Quanto sono stati inportanti invece le trasferte e le sfide con gli stranieri per voi? - Tantissimo. Io sono dell’idea che se vuoi migliorarti devi guardare agli altri. Noi abbiamo cominciato a viaggiare nel 2001, insieme al nostro manager di allora Marco Aloi, andando in Germania dove l’attività è intesa in maniera diversa, perché fanno meeting di soli salti ed hanno anche una challenge che lega i meeting del salto in alto. Lì c’è musica, la pedana è circondata da tribune, da lì abbiamo cominciato ad incontrare atleti di altissimo livello, abbiamo chiesto le loro metodologie di allenamento. - Quanto conta l’atmosfera in una gara di alto? - E’ fondamentale, a Napoli l’entusiasmo trasmesso dallo speaker e l’attenzione della Tv ci hanno dato una grande mano, perché il pubblico si faceva sentire. Io sono convinto che i concorsi fanno spettacolo, anche in Tv: a Torino Olsson è stato ripreso due sole volte, oltretutto in registrata, ed ha fatto il mondiale stagionale nel triplo. Meritava più attenzione. - Chi sono i tuoi modelli? - Holm, lo svedese numero uno del ranking, è uno che secondo me tecnicamente salta meglio di tutti, e che prendo più ad esempio quando penso di fare tecnica. Nell’ambiente ci sono molti atleti con cui mi trovo bene, l’inglese Challenger ad esempio è uno che sa come prendere le cose: a Napoli si è fermato a 2,21 eppure era contento e diceva che comunque era stato un buon allenamento, noi invece a 2,20 ci arrabbiamo. Loro trovano lati positivi anche nelle cose difficili. Poi in Brasile ho conosciuto meglio Strand, operato alla caviglia a settembre, ha fatto capire che ha la forza di continuare e ancora crede di poter andare alle Olimpiadi. Tutti hanno cose da trasmettere. - Pensi mai al dopo atletica? - Ho 27 anni, ci penso sì. In Brasile ne parlavo con il ceko Janku, mi ha raccontato dei suoi progetti, del fatto che ha investito tutto in una farm nel suo Paese dove alleva bestiame. L’atletica è una parentesi che finirà, dobbiamo essere pronti al dopo. Gabriele Gentili


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