Baldini si ferma: "Sono un uomo fortunato"



Stefano Baldini chiude, lascia l'agonismo. Il campione olimpico di Atene sarà in gara per l'ultima volta sabato pomeriggio, a Trento, nel tradizionale Giro al Sas dell'amico e manager (per vent'anni insieme) Gianni Demadonna. Oggi, a Milano, il partecipatissimo annuncio alla stampa, alla presenza, tra gli altri, del presidente della FIDAL Franco Arese, del DT delle squadre nazionali Francesco Uguagliati, dell'allenatore di una vita, Luciano Gigliotti, e del presidente del suo club, la Corradini Excelsior Rubiera, Marco Benati. In definitiva, l'occasione per salutare e ringraziare i tanti che l'hanno accompagnato nel corso di una carriera ai limiti dell'irripetibile. "Sono un uomo fortunato - ha detto un Baldini visibilmente emozionato, nel corso del suo lungo intervento - e non soltanto perché sono riuscito a centrare traguardi straordinari nella mia carriera, ma perché le scelte che ho fatto, spesso difficili, si sono quasi sempre rivelate vincenti. Non solo per merito mio, ovviamente, ma grazie anche all'intelligenza, alla tenacia ed al coraggio di chi mi è stato vicino. Faccio due esempi che toccano i primi anni della mia vita: la decisione di entrare ed uscire quasi subito da un gruppo sportivo militare, scommettendo sulla possibilità di fare un'atletica diversa, sostenuta dalla famiglia Corradini; e poi, la scelta di farmi seguire da un tecnico come Lucio Gigliotti, e di questo non posso che ringraziare Emilio Benati, che dopo avermi scoperto, ha pensato a me, al mio futuro. Un comportamento non frequente in atletica, dove spesso ci si preoccupa più delle questioni personali, che del futuro di un atleta".

Una carriera straordinaria, quella di Baldini, il cui vertice è sicuramente l'oro di Atene 2004, impresa che, detta senza timore di cadere nella retorica (e con un pizzico di orgoglio dell'atletica) è probabilmente la più grande compiuta da un italiano nella storia recente del nostro sport. Ma una carriera che passa anche per due titoli europei (Budapest 1998 e Goteborg 2006), e per due medaglie di bronzo mondiali (Edmonton 2001 e Parigi 2003). Sempre con lo stesso sorriso, con lo stesso volto pulito, con l'atteggiamento misurato di chi ha radici contadine, abituato a vedere costruire la vita con il lavoro quotidiano. Baldini finalizzatore di una squadra articolata, rodata, vincente. "Il manager Gianni Demadonna, il fisioterapista Daniele Parazza, il medico Pierluigi Fiorella. Tutti importantissimi, tutti determinanti, con Lucio Gigliotti, nella mia storia di atleta. E metto in prima fila anche il mio rapporto con la Federazione, che è stato fondamentale perché io ho sempre messo al centro della mia attività le gare con la nazionale, le gare di campionato, quelle con le medaglie in palio, le uniche che ho sempre sentito davvero importanti. Ho dato tutto per l'azzurro nella mia carriera di atleta, e ne sono felice". Al suo tecnico, all'uomo capace di vincere l'oro olimpico di Maratona con due atleti diversi (prima Gelindo Bordin, a Seul 1988; poi Baldini, Atene 2004), il campionissimo dedica parole inedite: "E' stato bravo soprattutto a capire che non ero Gelindo Bordin. E quindi, a cucire su di me un abito su misura, esaltando le mie doti, mettendo in luce i miei punti di forza. E' stato un rapporto lunghissimo, costruito sul rispetto reciproco, credo di reciproca soddisfazione".

L'ultimo Baldini, quello di Barcellona, non è stato al pari della storia precedente dell'azzurro, per sua stessa ammissione. "Ho pagato il fatto di non voler fare una gara da comprimario. L'avessi fatta, partendo nelle retrovie, in maniera forse un po' anonima, avrei preso una medaglia. Ne sono sicuro. E invece, ho scelto di fare corsa di testa, senza pesare sufficientemente le energie, e gli anni passati. E' l'errore tipico di uno che ha la mia storia, e certo, a conti fatti, sarebbe stato meglio fermarsi dopo Pechino; a maggior ragione dopo il marzo di quest'anno, passato quasi per intero ai box per un infortunio. E' andata così, credo che la mia carriera sia stata comunque positiva, non voglio lamentarmi". La giornata più bella è ovviamente quella lì, quella straordinaria cavalcata ateniese che infiammò l'Italia, portando anche la Gazzetta a strillare su otto colonne un potente "Dio di Maratona" (e a chiudere il successo di Schumacher nel mondiale di Formula 1 in un boxino laterale...). "Ma se devo solo riferirmi ai fatti tecnici, direi Londra 2002, quando chiusi con il primato italiano di 2h07:29, dopo aver corso completamente da solo dal quinto chilometro...ero furioso, volevo ritirarmi perché le lepri che dovevano seguire il mio ritmo si erano invece messe con i primi, ma le gambe andavano, i tempi erano eccellenti, e tiravo giù la testa, chilometro dopo chilometro, senza supporto. Per me, un'impresa. Se, invece, dovessi dare un consiglio su quale gara correre nel mondo, direi la maratona di Roma: non c'è scenario che abbia eguali. Certo, poi ci sono corse che hanno un fascino diverso, tipo Londra o New York, ma correre a Roma è un'altra cosa. Avesse un percorso ancora più centrale, non ci sarebbe storia per nessuno". Ora, un nuovo esordio, quello nella vita di tutti i giorni, non più scandita dai ritmi dell'allenamento, o dalla prospettiva del confronto con gli avversari, ma da match sicuramente più comuni. "Vorrei fare delle cose nell'atletica. Per ora c'è questo progetto Tutor con la FIDAL che mi affascina, ma non mi precludo altre strade". Sabato sera, a Trento, lo vedremo per l'ultima volta in azione. Saranno tutti in piedi, al traguardo, per lui. Per l'eroe di Atene. Per l'eroe di Maratona. 

Marco Sicari

Nella foto, Stefano Baldini consegna al Presidente della FIDAL Franco Arese un'immagine con dedica (Giancarlo Colombo/FIDAL)

File allegati:
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