Addio Peter Snell, il kiwi dei record

14 Dicembre 2019

Se ne va a ottant'anni una leggenda del mezzofondo: oro negli 800 a Roma 1960, ultimo capace della doppietta olimpica 800+1500 a Tokyo 1964

di Giorgio Cimbrico

Tre giorni prima degli 81 anni, se n’è andato Peter Snell. Il cuore faceva le bizze da tempo e gli aveva impedito di volare a Montecarlo per la Notte del Miglio. Era un simbolo della Nuova Zelanda e tra i messaggi di queste ore c’è anche quello degli All Blacks, che qualche mese fa hanno perduto un magnifico contemporaneo di Peter, Brian Lochore: il colore del lutto sul Paese che, in lingua maori, è la lunga nuvola bianca. Peter se ne va con tre medaglie d’oro, l’ultima doppietta olimpica 800-1500, i record del mondo degli 800 e del miglio.

Chissà se nelle ore che hanno preceduto la prima notte di quiete, avrà ricordato quel che gli disse Arthur Lydiard, mentore e artefice: “Ehi, Peter, con la velocità che hai, non resta che metter dentro un po’ di resistenza e diventerai uno dei più forti di sempre”. Peter accettò di “metter dentro un po’ di resistenza”, corse sulle balze vulcaniche attorno a Waikato e qualcuno sostiene che la solita razione dura gli toccò anche il giorno del suo matrimonio. Era il marathon training. Si era mai visto che un ottocentista corresse 20, 25 km su terreni difficili? I fatti avrebbero detto che Lydiard aveva ragione e che aveva trovato il migliore dei discepoli.

Alla scuola di Te Aroha (tutti maori i nomi che punteggiano vita e opere di chi era nato a Opunake) era un all-arounder, eccellente tennista, buon giocatore di rugby e di cricket. Proprio la corporatura colpì quelli che lo incrociarono nella camera d’appello dell’Olimpico, prima delle batterie degli 800 ai Giochi del '60. Era robusto, quel tipo con i calzoncini neri, la maglietta nera e la felce d’argento. Un giornalista americano scrisse di lui: “Sembra un carro armato Sherman, ma con le marce alte”. Robusto e sconosciuto, iscritto alle Olimpiadi con 1:49.2 sulle 880 yards, prestazione buona, non sconvolgente. I favoriti erano altri: il belga Roger Moens (primo sotto l’1:46 e violatore del record del meraviglioso Rudolf Harbig) e il giamaicano George Kerr, a quel tempo sotto l’etichetta Bwi, British West Indies, la federazione che riuniva le isole caraibiche, dalle Bahamas a Trinidad.

Per la Nuova Zelanda il 2 settembre 1960 fu il giorno della gloria. Il pomeriggio offriva, l’una dopo l’altra, le finali degli 800 e dei 5000 e il mondo alla rovescia ebbe la meglio sull’altro emisfero. Iniziò Snell con quel finale che sembrava una fuga verso la meta, con quei 25 metri che annichilirono e piegarono i favoriti. “Chi ha vinto?” disse uno stravolto Peter rivolgendo la domanda che, nel rugby, di solito fa il pilone che ha vissuto a testa bassa una lunga guerra di trincea. “Hai vinto tu”, gli rispose Moens che ci era rimasto male ma mostrò grande signorilità. Subito dopo toccò al coraggioso Murray Halberg dal braccio anchilosato per un incidente rugbystico a metter le mani sull’oro dei 5000.

Snell decise di offrire qualche capolavoro al pubblico di casa e il 27 gennaio 1962 sull’erbosa e piccola pista (352 metri di sviluppo) dei Cooks Gardens di Wanganui corse il miglio in 3:54.4 strappando per un decimo il record mondiale a Herb Elliott, per cospargere di nuove scintille la rivalità tra kiwi e canguri. Una settimana dopo, a Christchurch, ancora su pista verde, fece accoppiata metrico-imperiale su 800 e 880 “passando” in 1:44.3 e chiudendo in 1:45.1. Di lì a poco, ai Giochi del Commonwealth, a Perth, Western Australia, affiancò i titoli di mezzo miglio e miglio.

Era pronto per la doppietta olimpica che centrò a Tokyo sostenendo con sicurezza la corsa d’attacco di Wilson Kiprugut, prima medaglia del giovane Kenya, e offrendo un formidabile 1:45.1. Cinque giorni dopo, con un’esperienza sui 1500 che si riduceva ai due turni eliminatori, non ebbe problemi e vinse in 3:38.1, con un secondo e mezzo di margine sul ceco Josef Odlozil, futuro marito di Vera Caslavska. Il bronzo di John Davies confermò che in quel periodo storico la piccola Nuova Zelanda era al vertice del mezzofondo: ci sarebbe tornata una generazione dopo con John Walker, Dick Quax, Rod Dixon.

Gli ultimi acuti sono del novembre ’64: a distanza di pochi giorni, a Auckland, 2:16.6 sui 1000 e 3:54.1 nel miglio. A 26 anni, nel pieno, decise che poteva bastare così: si trasferì negli Stati Uniti e lavorò brevemente per un’industria del tabacco prima di tuffarsi in studi di medicina e fisiologia che lo portarono a diventare prima ricercatore e poi professore associato. Toccati i sessanta, tornò a far girare le gambe e conquistò il titolo di campione americano di orientamento nella sua categoria di età.  

Al fianco di Herb Elliott, Peter è stato l’uomo che ha ottenuto di più in un tempo breve. Ha avuto due statue in suo onore e può vantare una lista infinita di onorificenze e di cavalierati. Nel paese del rugby è stato riconosciuto come l’atleta neozelandese del XX secolo. Lo meritava.

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