2016: l'alfabeto dell’atletica italiana

29 Dicembre 2016

Tra pista, strada e corsa in montagna, ecco i fatti e i protagonisti azzurri della stagione appena conclusa

di Giorgio Cimbrico

Gli ultimi foglietti di un calendario vecchio stile che volano via invitano alla riflessione, al bilancio di un altro anno difficile e punteggiato di gioie, costellato di rammarico e cosparso di orgoglio, europeo e olimpico, amaro e dolce, irto di aculei, capace di carezze improvvise. Le ascensioni di Gianmarco Tamberi, il fulmine piovuto nel momento più alto e nell’attesa più vibrante; i fremiti di giovani (Filippo Tortu, Noemi Stella e non solo loro); la conferma di una veterana (Libania Grenot), capace di trasformarsi in appassionata capitana di una pattuglia (la 4x400) e di un’intera squadra; il coraggio di Antonella Palmisano, per la seconda volta capace di esser vertice in un evento globale; la sorte ingrata per chi, come Daniele Meucci, Marco Fassinotti e Marcell Jacobs (mai un azzurro aveva guadato un ruscello tanto largo) avrebbe potuto recitare da protagonista ad Amsterdam e a Rio; il “beau geste” di Bernard Dematteis rivolto a quella metà di sé che è il gemello Martin; i 40 anni e la quinta Olimpiade di Fabrizio Donato; l’ardimento da mamma coraggio di Valeria Straneo; il volto allegro e intelligente di Catherine Bertone, la pediatra che a 44 anni rende solida l’evanescenza di un sogno; i voli che potevano essere, e non sono stati, di Alessia Trost, colpita, in fondo alla stagione, negli affetti più profondi. E la vivacità di un movimento, di un meccanismo, di un gruppo di lavoro che, nel giro di sei mesi, sa mettere in scena i Mondiali di marcia a squadre dalle quinte memorabili, dal Colosseo alle Terme di Caracalla, il Golden Gala, frequentato da un pubblico quadruplo di quanto ne riescono ad attirare celebrate classiche del nord, gli Europei di corsa in montagna ad Arco, in un luogo che Albrecht Durer riprodusse in uno dei suoi bei disegni, e, ancora molto freschi, gli Europei di corsa campestre a Chia, in una cornice naturale che ha creato sorpresa ed entusiasmo tra chi ha raggiunto l’isola di sole e di vento. Quello che segue è un parziale alfabeto di volti, di emozioni, è un saluto, un augurio, un arrivederci a un’altra stagione densa. Quale ormai non lo è? Tra un anno, altre lettere lo arricchiranno.

Yeman Crippa: cresce, continua a sorridere e a raccogliere coroncine e corone. Campione italiano di cross, dei 3000 indoor e dei 1500, capace di dare solenni sforbiciate ai record personali, ottavo in una delle più lente e tumultuose finali continentali dei 5000 (i primi quattro in un centesimo, mai vista una cosa simile), terzo a Chia nella prova under 23 che ha visto il successo delle “speranze” azzurre. Ora, un altro salto di qualità. La stoffa c’è.

Marco De Luca: un quarto posto ai Mondiali di marcia a squadre che nel giro di qualche settimana - dopo la squalifica di Alex Schwazer - è diventato un bronzo senza comunque intaccare la vittoria a squadre insieme a Teodorico Caporaso, Matteo Giupponi e Federico Tontodonati. Il cinquantista romano ci teneva a far bella figura sulle strade della sua città, davanti agli occhi delle sue prime tifose: la moglie e le loro due bambine. E’ arrivato anche il primato personale che fa il paio con quello sulla 20 km. Poi il caldo e l’afa di Rio hanno, purtroppo, tenuto a freno le sue ambizioni olimpiche, ma il 35enne finanziere che ha recentemente cambiato guida tecnica - dallo storico allenatore Patrizio Parcesepe a Giovanni De Benedictis - è pronto a rifarsi nell’anno che verrà.

Bernard e Martin Dematteis: una vittoria e un gesto che è entrato nel repertorio dei gesti che commuovono e non possono essere dimenticati. Tutto in uno scenario magnifico, la montagna e la rocca turrita che dominano Arco di Trento. Bernard ha partita vinta, sventola il tricolore, il titolo europeo di corsa in montagna è suo. Ma il capitano della squadra azzurra si ferma, aspetta il gemello Martin, gli regala vittoria e bandiera per piangere ancora una volta, uno abbracciato all’altro, quel lutto (la morte del figlioletto di Martin) che l’anno scorso li aveva devastati. Invincibili. A fine stagione, camosci in libera uscita tra i grattacieli di New York.

Marco Fassinotti: a Banska Bystrica, sempre generosa con i saltatori azzurri, supera 2,35: record italiano indoor alla pari di Tamberi. La diarchia dura poco: nove giorni dopo, a Hustopece, Gimbo sale a 2,38. L’acuto invernale è la piccola luce in un buio che va avanti da Pechino, quando il torinese alzò bandiera bianca senza neppure accennare una rincorsa. Nono ai Mondiali indoor, assente agli Europei e a Rio per infortunio al piede di stacco. Per i Giochi, i Tre Moschettieri sono stati costretti ad affidarsi a Silvano Chesani, ancora impegnato a ridare filo alla sua spada. Domani, come diceva De André, andrà meglio.

Ayomide Folorunso: se Eddie Murphy era il re della risata, Ayo è la regina. Allegria contagiosa, ottimismo, grinta, ambizione: tutto concentrato nel fisico minuto di chi, appena toccati i 20 anni, sogna un futuro da pediatra e che, sull’ultima curva dello Stadio Olimpico di Amsterdam, ha costretto ad alzarsi in piedi. Odore forte di clamorosa sorpresa, ma anche il quarto posto non ha il sapore legnoso del metallo perduto. A Rio recita da animatrice, da jolly, da solidissima “leg” di una staffetta memorabile.

Matteo Galvan: sceglie la prodiga pista di Rieti per ritoccare il record italiano dei 400 che proprio su quell’anello era stato strappato a Mauro Zuliani dal laziale Andrea Barberi. Ripete al centesimo quel 45.12 nella fase eliminatoria degli Europei e si affaccia alla finale su un podio virtuale. Ma il carburante è poco e il motore scoppietta senza più offrire il giusto rombare. Ottavo. A Rio esce in batteria lasciando poche tracce e guadagna un insperato posto nelle semifinali dei 200, unico del terzetto azzurro a passare il taglio. Al Rosso di Vicenza spetta la piccola corona di van Niekerk d’Italia, l’unico a sapersi destreggiare con efficacia su 100, 200 e 400.

Matteo Giupponi: fatica sui sampietrini romani, ma riesce a dare il suo contributo per la vittoria della squadra azzurra nella 50 km. A Rio opta per la 20 che non sembra la distanza più adatta per chi, affettuosamente, può finire nella categoria dei “giraffoni”. La scelta è giusta: rimane a lungo nel gruppetto di testa, non rompe quando i cinesi imprimono dure accelerate, difende l’ottavo posto e porta il record personale a 1h20:27. Dei 14 punti raccolti dalla squadra azzurra, uno viene da questo bergamasco che lascia il Brasile più felice della fidanzata Eleonora Giorgi che, dopo Roma, incorre in un’altra squalifica.

Libania Grenot: tutti gli obiettivi raggiunti con una sicurezza resa più salda dall’ingresso nella maturità: il record italiano dei 200, il bis del titolo continentale (a più alta gradazione cronometrica rispetto a Zurigo 2014), l’euromedaglia in staffetta (con magistrale ultima frazione), l’ingresso nella finale olimpica nell’individuale (era la sua ambizione e ce l’ha fatta) e con il quartetto dei miracoli. Dopo aver doppiato il promontorio dei 33 anni, l’inseguimento può continuare: la discesa sotto i 50 secondi e un posto nella finale mondiale, sulla pista londinese di Stratford. Nessun azzardo: nulla è proibito a una Libania che, più che pantera, si è trasformata in leonessa capobranco.

Veronica Inglese: una figurina che Edgar Degas avrebbe dipinto o fuso in bronzo, un argento nella maratona divisa a metà, tra i canali di Amsterdam, un posticino nel cast del più grande 10.000 mai corso (roba da raccontare a figli e nipoti), un futuro sui 42 chilometri: là c’è bisogno di sangue nuovo. Quello di Veronica è di Barletta: per chi corre, un’etichetta doc.

Marcell Jacobs: un altro perseguitato dalla mala sorte, il ragazzo passato da El Paso a Gorizia, dopo aver scelto Paolo Camossi. Un fascio di luce improvviso quasi due anni fa, un lungo periodo passato a guardare, un progresso forte nello sprint (anche Filippo Tortu tra le sue vittime), un’esplosione che lo porta ad atterrare con vento forte, ma non un tornado, a 8,48 prima. Il minimo di partecipazione non c’è ancora: lo cerca e non lo trova ai campionati italiani di Rieti quando qualcosa ricomincia a scricchiolare. Rivisto il foglio gara della finale di Amsterdam, rimpianti accesi. A dieci anni dal successo di Andrew Howe, sembrava la volta buona.

Daniele Meucci: gli Europei di Amsterdam sarebbero dovuti essere semplicemente una tappa di passaggio verso i 42,195 km di Rio. Ma la stagione del campione europeo in carica, dopo la vittoria in Coppa Europa dei 10.000 metri, si è fermata a metà con il bronzo di mezza maratona nella rassegna continentale. La maratona olimpica per l’ingegnere pisano è stata un’avventura finita troppo presto, sotto la pioggia, dalle parti del dodicesimo chilometro. Tutta colpa di un infortunio al piede sinistro che lo ha messo inaspettatamente fuori gioco. 2017, una stagione che vale il riscatto.

Antonella Palmisano: quinta a Pechino, miglior piazzamento azzurro femminile ai Mondiali; quarta a Rio, miglior piazzamento azzurro ai Giochi Olimpici. Sulla bontà dell’azione tecnica della pugliese, sul suo coraggio, sulla sua capacità di superare i trabocchetti che disseminano l’avvicinamento ai grandi appuntamenti, poche parole da spendere. E’ una realtà, capace di finire prima tra le europee, a 28 secondi dall’oro di Liu, a 26 dall’argento di Lupita Gonzalez, a 21 dal bronzo di Lu, 2 davanti a Qieyang, la terza cinese. Non vince una medaglia, ma lancia ugualmente la sua richiesta di matrimonio. Il fidanzato risponde di sì. Matrimonio in marcia.

Quattro per Quattro: una creatura a otto gambe motrici, quattro cervelli, quattro cuori, capace di eguagliare il sesto posto olimpico, vecchio 32 anni, di Patrizia Lombardo, Cosetta Campana, Marisa Masullo, Erica Rossi, e poche settimane dopo il bronzo europeo di Amsterdam con Chiara Bazzoni in terza frazione. Ora tocca a Maria Benedicta Chigbolu, elegante come una mannequin, a Maria Enrica Spacca, una grintosa che è peccato mortale etichettare gregaria, ad Ayomide Folorunso, a Libania Grenot portare, in semifinale, il record italiano a 3:25.16 (media 51.29, non male), conquistare il turno finale, buttare quel che rimane nel serbatoio delle energie, festeggiare con una piccola coreografia e una grande gioia.

Desirée Rossit: sale a quote nuove che, a inizio stagione, le assicurano un posto vicino al vertice mondiale, ma né ad Amsterdam né a Rio riesce a confermarsi. Il momento migliore in qualificazione, quando sembra che la campana stia per suonare e Desirée è capace di allontanare quel rintocco. Leggera, quasi aerea e con un carattere in fase di rafforzamento.

Gianmarco Tamberi: il miglior modello per un pittore romantico che amava ritrarre avventurieri alla ricerca dell’assoluto. Su quella strada è andato Gimbo, colpito da quel che è stato facile etichettare fulmine scagliato da qualche malevola divinità. Stagione impeccabile: il 2,38 nel trionfale tour ceco e slovacco, il magnifico spettacolo concesso ai deliranti fan di Ancona, il titolo mondiale indoor catturato con un numero d’alta scuola quando la situazione sembrava compromessa, gli assalti convinti, falliti di un’inezia, a 2,40 (e a 2,41) che danno accesso a un circolo ristretto, il titolo europeo sbrigato come una formalità. Montecarlo è stata la sera dell’estasi e del tormento, della salita a 2,39, della rovina a 2,41. La domanda senza risposta (sarebbe il nuovo campione olimpico?) rinvia ai due volti di questo Giano con barba e senza barba e rende il personaggio ancora più affascinante. Il suo ritorno sarà accompagnato da una musa di fuoco.

Filippo Tortu: se lo junior più veloce del mondo è un americano, Noah Lyles, lo junior più veloce d’Europa è Pippo, secondo ai Mondiali under 20 di Bydgoszcz, in fondo a una finale che il 18enne di Carate Brianza, dalle dichiarate e orgogliose radici sarde, interpreta con avvio non sensazionale e fase lanciata che dal sesto posto a metà gara lo vede piombare sul traguardo alle spalle di Lyles. Per il 19enne americano, 10.17; per Filippo, in quel momento 18 anni e 35 giorni, 10.24, lo stesso tempo centrato a Savona, primo acuto di una stagione che lo ha portato a 10.19 e a sfiorare la finale di Amsterdam. E’ il miglior piazzamento di uno sprinter azzurro sui 100 nella storia dei Mondiali under 20: vent’anni fa, terzo il siciliano Francesco Scuderi. I vecchi, ammirati e commossi, vedono in lui un nuovo Berruti. Si afferma l’importanza delle tradizioni di famiglia: sprinter il nonno, sprinter (e allenatore) il padre. Per lui, tutte le mattine del mondo.

Alessia Trost: molte occasioni mancate, da Portland a Rio, passando per Amsterdam, in una stagione in cui la specialità ha ancora segnato il passo, affidandosi all’esperienza e alla regolarità di Ruth Beitia, una specie di zia che incoraggia, rincuora e dà lezione a uno stuolo di nipotine. Chissà se Alessia ha pensato che con 1,97, la quota che valeva l’oro, Sara Simeoni vinceva il titolo nel 1980? Ora, dopo il dolore penetrante che le è toccato in sorte con la scomparsa della madre, cambio di vita, di abitudini, di guida tecnica. Entrando dei 24 anni, quel che è stato buttato, può essere ancora raccolto.

MEDAGLIERE ASSOLUTO 2016
Campionati Europei, Amsterdam (Paesi Bassi)
2 ori: Gianmarco Tamberi (alto), Libania Grenot (400)
2 argenti: Veronica Inglese (mezza maratona), Veronica Inglese, Anna Incerti, Rosaria Console, Laila Soufyane, Catherine Bertone (squadra mezza maratona)
3 bronzi: Daniele Meucci (mezza maratona), Daniele Meucci, Stefano La Rosa, Ruggero Pertile, Xavier Chevrier, Daniele D’Onofrio (squadra mezza maratona), Maria Benedicta Chigbolu, Maria Enrica Spacca, Chiara Bazzoni, Libania Grenot (4x400)

Campionati Mondiali indoor, Portland (Stati Uniti)
1 oro: Gianmarco Tamberi (alto)

Campionati Mondiali di marcia a squadre, Roma (Italia)
1 oro: Marco De Luca, Teodorico Caporaso, Matteo Giupponi, Federico Tontodonati (squadra 50 km)
1 bronzo: Marco De Luca (50 km)

Campionati Mondiali di corsa in montagna, Sapareva Banya (Bulgaria)
1 oro: Valentina Belotti, Alice Gaggi, Sara Bottarelli, Antonella Confortola (squadra femminile)
2 argenti: Valentina Belotti (individuale), Bernard Dematteis, Martin Dematteis, Alex Baldaccini, Xavier Chevrier, Francesco Puppi, Nicola Spada (squadra maschile)

Campionati Mondiali di lunghe distanze di corsa in montagna, Podbrdo (Slovenia)
3 ori: Alessandro Rambaldini (individuale), Alessandro Rambaldini, Marco De Gasperi, Fabio Ruga, Marco Zanoni, Emanuele Manzi (squadra maschile), Antonella Confortola, Francesca Iachemet, Debora Cardone, Barbara Bani (squadra femminile)
2 argenti: Marco De Gasperi (individuale), Antonella Confortola (individuale)

Campionati Europei di corsa in montagna, Arco (Italia)
3 ori: Martin Dematteis (individuale), Martin Dematteis, Bernard Dematteis, Cesare Maestri, Xavier Chevrier (squadra maschile), Alice Gaggi, Sara Bottarelli, Valentina Belotti, Antonella Confortola (squadra femminile)
2 argenti: Bernard Dematteis (individuale), Alice Gaggi (individuale)
1 bronzo: Sara Bottarelli (individuale)

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